L'investigatore privato e il segreto professionale

La legge 7 dicembre 2000, n. 397, ha introdotto nel codice penale una normativa che coinvolge gli investigatori privati durante le indagini difensive. In particolare, l’art. 379-bis c.p. prevede una pena fino ad un anno per chiunque riveli indebitamente notizie segrete inerenti ad un procedimento penale, acquisite durante il suo coinvolgimento o assistenza a un atto dello stesso.

L’art. 4 della suddetta legge ha modificato l’art. 200 comma 1 lett. b) c.p.p., includendo esplicitamente anche l’investigatore privato tra le categorie di soggetti abilitati ad opporre il segreto professionale, non essendo obbligati a deporre su quanto conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione. 

Il legislatore ha esteso la protezione del segreto professionale agli investigatori privati, assimilandoli agli avvocati, consulenti tecnici e notai, garantendo così una uniformità di trattamento tra il difensore e i suoi collaboratori nell’ambito delle garanzie procedurali e della tutela della funzione difensiva. 

Tale facoltà si estenderebbe anche in ambito civile in base a quanto stabilito dall’Art. 249 c.p.c.

In merito a quest’ultima fattispecie si è espressa anche la Corte di Cassazione per un caso in cui un investigatore privato che si era rifiutato, durante un processo civile, di riferire il nominativo della propria fonte, era stato incriminato per falsa testimonianza. La Corte di Cassazione ha però assolto il professionista, ritenendolo non punibile poiché in base all’art. 249 cpc (che rimanda agli artt. 200, 201 e 202 cpp) “non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere” (cfr. Cass. Pen, sentenza n° 7387/2005).